UN APPROCCIO ALL'IMPROVVISAZIONE MODALE - PARTE 1


Gli anni recenti della mia residenza asiatica, che vanno dal 2019 al 2023, sono trascorsi in uno stato di relativo isolamento culturale, anche dovuto alla pandemia. Questa condizione particolare ha senz’altro caratterizzato la mia ricerca sia da una prospettiva professionale che personale, offrendomi l'opportunità di risolvere finalmente alcuni problemi tecnici che trascinavo da tempo e sviluppare ulteriormente espressione e creatività, che avevo già in dote. Il grande lavoro svolto mi ha proiettato  in una fase più matura del mio percorso artistico dove ho potuto mettere a fuoco le priorità compositive ed esecutive. Nel dettaglio ho deciso di concentrarmi su composizioni originali ispirate ai raga indiani, basate quindi su impianto modale, e disegnare una serie di studi che mi permettesse di sviluppare l'abilità nota ai musicisti col termine inglese
pre-hearing, ovvero la capacità di tradurre in suono sullo strumento quello che viene in mente in un dato momento in modo istantaneo e senza sforzo, così come avviene per un cantante o quando si parla.

I risultati non si sono fatti attendere, sia da un punto di vista tecnico che creativo, tanto che ho deciso di ricavarne un metodo moderno che avrà con ogni probabilità il titolo di Music Yoga. L’idea e quella di una guida che conduca il musicista in un percorso semplice ed efficace orientato a sviluppare le facoltà creative fino a metterle in atto in modo spontaneo, rimuovendo progressivamente gli ostacoli e le rigidità. Lo scopo è quello di approdare a una pratica musicale naturale e piacevole. La funzione degli esercizi è quella di rendere l’improvvisatore capace di ideare nuove frasi musicali mentre sta suonando ed eseguirle istantaneamente e senza errori restando rilassato al tempo stesso.

La mia esperienza con i modi, inevitabilmente ancor prima intuitiva che teorica, inizia con l’ascolto della musica rock. Il brano No Quarter dei Led Zeppelin presenta una lunga improvvisazione di tastiere nel modo dorico. All’epoca i gruppi rock potevano eseguire lunghi assoli anche di dieci minuti o più, come era già prassi nel jazz fin dagli anni sessanta. L’ascolto di melodie su una base armonica semplice di un accordo o due offre l'opportunità anche ad un orecchio poco educato di trarne piacere senza sforzi particolari.

Ma la vera rivelazione rispetto l’approccio modale nella musica si presentò a sedici anni, quando un compagno di liceo mi fece ascoltare un disco di musica altomedievale, una raccolta di esecuzioni dei Carmina Burana nella versione di René Clemencic, fatta con riproduzioni di strumenti dell’epoca. Il codice Burana è una vera e propria miniera archeologica di musica sacra e profana risalente alla tradizione europea del XII secolo del quale esistono numerose interpretazioni.

Ricordo chiaramente di aver percepito in me il risveglio di una sorta di memoria quasi genetica, provocato dall’ascolto di quella musica. Il repertorio distribuito in quasi tre ore di musica mi fu immediatamente comprensibile. Sebbene si trattasse di musica vecchia di ottocento anni la riconobbi subito come mia senza alcuno sforzo e nonostante la giovane età.

In seguito l'incontro con il jazz modale mi diede l'opportunità di conoscere la relazione diretta che esisteva tra quella musica e l’improvvisazione moderna, anche se in quest’ultima come viene illustrato in seguito è più verticale. Infatti i jazzisti improvvisano sul modo di base usando tre scale pentatoniche che sono contenute al suo interno: una costruita sulla fondamentale, una sul quinto grado ed una sul quarto, insieme alle loro inversioni. Gli strumenti armonici come il pianoforte possono essere usati per creare strutture verticali di accordi contenenti intervalli di quarta che producono il suono tipico dello stile modale che si ascolta nelle registrazioni di John Coltrane come My Favorite Things o Impressions, oppure nel celebre disco di Miles Davis Kind Of Blue. Questo approccio si diffuse a tal punto da influenzare la produzione della musica popolare e rock.

La formalizzazione delle strutture musicali in forma di scale note col nome di modi, ancora prima ancora prima del periodo medioevale, è ad opera dei Greci. Sebbene praticamente l’intero corpus della produzione musicale greca sia andato perduto, ci è pervenuto l’impianto teorico grazie alle opere di Plutarco e alcuni filosofi. In epoca classica era prassi spezzare le scale in due gruppi di quattro note denominati tetracordi, ciascuno dei quali era compreso nello spazio di un intervallo di quinta e contenente al suo interno un intervallo di un semitono. La combinazione di due tetracordi dava origine a un modo di sette note cui veniva attribuito un nome che richiamava lo stile proprio di una tradizione locale, come Lidio o Frigio.

Prendiamo in esame il modo Ionio di Do che corrisponde alla comune scala di Do Maggiore, se dividiamo la scala in due tetracordi discendenti partendo da Do avremo: un primo tetracordo la cui sequenza sarà Do-Si-La-Sol e un secondo la cui serie è Fa-Mi-Re-Do. In entrambi i casi l’intervallo di semitono si troverà all’apice, Do che scende a Si nel primo e Fa che scende a Mi nel secondo, mentre il punto di giunzione tra i due tetracordi, Sol e Fa, è separato dall’intervallo di un tono intero. Vi sono altre combinazioni possibili, nelle quali gli intervalli di semitono nei tetracordi si trovano in una diversa posizione e la distanza tra il punto di giunzione tra i due tetracordi è di un solo semitono. La ricombinazione di questi elementi dà origine al gusto particolare che ciascun modo esprime a seconda dell’atmosfera che si vuole evocare.

Nel mio caso ho sempre pensato ai modi identificandoli con immagini associate a una sensazione o una qualità psicologica, Ad esempio il Misolidio mi ricorda i pinnacoli di un castello con i vessilli che svettano nel cielo, allo stesso tempo può evocare atmosfere più languide che si ritrovano nella musica Indiana. Il modo Eolio invece è perfetto per evocare il canto di una madre che addormenta il suo bambino, o ancora paesaggi notturni di foreste montane coperte dalla neve.

Un altro elemento caratteristico dei modi nella loro forma originale consisteva nel fatto che questi venivano eseguiti nella loro forma discendente, partendo da una nota fino a scendere alla stessa all’ottava inferiore. Dal medioevo in poi invece si è andata affermando la forma ascendente, nella quale le scale vengono presentate salendo fino all’ottava superiore. Questo fattore non di secondaria importanza ha certamente contribuito a cambiare lo stile delle composizioni insieme all’impianto filosofico della musica.

L’idea di spezzare una scala in due cellule di quattro note ci offre un approccio all’improvvisazione più sintetico e snello di quello che considera una scala di sette note. In questi ultimi anni ho ripreso la teoria dei modi approfondendone lo studio, insieme all’ascolto della musica Indiana con altre tradizioni europee e asiatiche, delle quali la prima resta oggi forse l’espressione più fedele alla sua forma iniziale. I modi e le varie scale, pur con nomi diversi, sono oggi largamente impiegate nella musica contemporanea in tutte le sue forme, mentre restano intatti nella loro forma originaria solo nella musica Indiana classica, dove la tradizione ha subito variazioni stilistiche minime nonostante questa venga trasmessa prevalentemente per via orale. 

Stefano Palleni


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