UN APPROCCIO ALL'IMPROVVISAZIONE MODALE - PARTE 2
Uno studio approfondito degli intervalli ha
caratterizzato il mio lavoro di questi ultimi anni per scendere in profondità
all’interno della molecola musicale. L’intervallo è la particella sonica più
piccola composta da due atomi rappresentati dalle due note che lo compongono.
L’intervallo e dunque la distanza che intercorre tra queste due note. Lo stesso
intervallo si può ritrovare in scale e tonalità diverse. Ad esempio,
l’intervallo di terza maggiore Do - Mi è presente sia nel modo Ionio di Do che
di Fa, ed ancora nel modo Lidio di Fa, nell’Eolio di La, nel Misolidio di Sol e
molti altri ancora. Sebbene questo stesso intervallo sia presente in contesti
diversi, quello che cambia è il suo rapporto con la tonica di base del modo,
ovvero quella che determina il contesto tonale di riferimento.
Quindi avremo due entità tonali distinte e in
rapporto tra di loro: da una parte la gerarchia all’interno dell’intervallo,
con una sua tonica intrinseca che esercita un effetto gravitazionale
sull’altra, e dall’altra la posizione che l’intervallo stesso occupa nel
contesto del modo, che sarà diverso a seconda della tonica generale di
riferimento, ad esempio nel modo Ionio di Do o di Fa. In questa prospettiva la
tensione armonica ed il colore che un medesimo intervallo assume saranno
diversi a seconda della tonica di riferimento.
Esattamente come nel sistema copernicano, le
note e gli intervalli ruotano come satelliti attorno alla tonica che
funge da centro gravitazionale. La teoria del Lydian Chromatic Concept
di George Russell trova la sua giustificazione in quella del Grundtone
precedentemente formulata da Hindemith, dove si afferma che i vari gradi e
intervalli all’interno un modo acquistano un senso solo se posti in
relazione a una tonica con la quale vengono a trovarsi in una rapporto di
progressiva consonanza o dissonanza. Le ragioni di questo fatto sono di natura
evolutiva: l’orecchio umano si sarebbe sviluppato per disporre i suoni
contenuti all’interno di uno spettro limitato in modo gerarchico, creando una
grammatica sonora che organizza il discorso musicale attorno a un basso
di riferimento.
Lo studio della storia della musica per parte
dell’etnomusicologia conferma questa idea. Anche la mia esperienza personale mi
porta a concludere che la musica in tutte I suoi idiomi nelle diverse epoche
può essere interpretata secondo una teoria naturale dell’armonia.
Una volta che l’universo sonoro si è aperto e ci
siamo impossessati delle sue componenti molecolari sarà possibile concentrarsi
sulle caratteristiche espressive e onomatopeiche della musica. Entrano in gioco
altre forze dinamiche ed energie che percorrono la vita in tutti i suoi
aspetti. Agli estremi come punti cardinali di questo cosmo espressivo, troviamo
le qualità catartiche del teatro e dei riti arcaici, le pratiche esoteriche
tantriche e i rapimenti estatici dei mistici. A un livello intermedio più
vicino alla vita di tutti i giorni troviamo tutta la gamma dei sentimenti umani
che si riflettono nel linguaggio e nelle relazioni. L’artista compiuto è capace
di imbrigliare e canalizzare queste forze nella musica affinché sia dotata di
carica vitale.
Questa è anche la chiave d’accesso alla musica
non temperata propria delle scale musicali etniche dove gli intervalli vengono
aggiustati per eccesso o per difetto rispetto al sistema temperato proprio per
enfatizzare la loro qualità espressiva. Avremo quindi intervalli di terza
maggiore eccedenti o di seconda quasi diminuiti come avviene nella musica
araba, indiana o nelle scale giavanesi. I pleia medievali sono un esempio di
come queste variazioni venissero usate per abbellire la melodia, si tratta di
inflessioni microtonali che i cantanti usavano per enfatizzare l’aspetto
emotivo di un tema di uso comune all’epoca.
Se lo desideriamo possiamo esercitarci con
l’ausilio di una tastiera a cantare gli intervalli enarmonici. Un intervallo di
quinta aumentata e di sesta minore sono enarmonicamente equivalenti ma possono
assumere una funzione espressiva opposta in un diverso contesto musicale. La
quinta aumentata esprime tensione in un contesto armonico spigoloso là dove la
sesta minore appare all’ascolto languida e malinconica. Similmente un
intervallo di quarta aumentata risulterà aperto e luminoso a confronto di uno
di quinta diminuita che sarà invece angusto e tenebroso.
Secondo questo principio è possibile sviluppare
a partire dallo stesso materiale di partenza, come un modo Lidio in qualunque
tonalità, una melodia allegra, riflessiva o nostalgica, secondo l’intenzione
avvantaggiandosi di un ritmo e di colori timbrici adeguati. Le tensioni
armoniche contenute all’interno di un accordo esteso fino alla tredicesima, le
loro alterazioni insieme agli intervalli contenuti in un modo sono simili alle
spezie per condire un cibo: se sapientemente dosate sono in grado di veicolare
l’esperienza che il compositore desidera comunicare. In questo senso la
similitudine tra musica e cibo è utile a rendere l’importanza dell’equilibrio
degli elementi presenti in una composizione.
Nella prassi è possibile alterare il modo base
andando ad alterare alcune note con una serie di tensioni armoniche per
ottenere l’effetto desiderato, dopo che si è appreso a riconoscerne il gusto
peculiare. Prendendo ad esempio un modo minore di La Eolio, la più comune è
l'alterazione della settima, che da minore che viene sostituita con la settima
maggiore, nel nostro caso Sol naturale viene aumentato di un semitono fino a
Sol diesis. La sesta, Fa naturale nel modo di La Eolio, può essere parimenti
aumentata di un semitono a Fa diesis, sostituendo di fatto il modo di partenza
Eolio con il Dorico. Queste sono solo alcune delle possibilità più comuni tra
quelle che l’esecutore ha a disposizione fino a erodere completamente il modo
di base per approdare a soluzioni cromatiche da opporre al materiale di
partenza. Dovrà essere il gusto personale a regolare il grado di dissonanza,
più evoluto l'orecchio maggiore la tolleranza nei confronti di note estranee
all'armonia di base.
È quindi necessario che il compositore abbia
chiaro in mente quale sia la funzione che ogni singolo elemento va ad occupare
nell’idea che si appresta a sviluppare, non solo in un’ottica teorica, ma
soprattutto nella memoria del gusto che ogni nota reca in sé nella sua
relazione con le altre presenti nel contesto tonale e armonico, così come si
ricordano i sapori di un cibo, gli odori e le sensazioni di un’esperienza nota
e ripetuta più volte. Solo così si potrà sviluppare sicurezza e padronanza dei
propri mezzi espressivi. Per dirlo in una frase, dotare i suoni di significato
poetico.
Questo lento e faticoso lavorio, necessario
all'assimilazione del carattere di ogni singola nota rispetto alla tonica e
alla sua tonalità di impianto, richiede anni di applicazione per divenire un
riflesso condizionato e ripercorre l'evoluzione della musica nella società e nella
cultura umana. Lo sforzo viene però ampiamente ripagato dalla possibilità di
rivivere individualmente nello spazio di qualche anno di studio l'intera
esperienza e la meraviglia della scoperta e dell'invenzione musicale che i
nostri antenati sperimentarono attraverso i secoli.
L’approccio intervallare o intervallico
qui descritto è quello più completo e deve essere fatto per via esperienziale
in modo esaustivo. Il supporto della teoria musicale va inteso come un ausilio
che in nessun caso può rimpiazzare l’esperienza diretta, in quanto priverebbe
la musica del suo senso reale. Richiamando ad esempio il sistema musicale dei
greci va tenuto presente che pur se utile l’idea delle scale organizzate per
tetracordi sono una sistematizzazione posteriore all'invenzione delle melodie
che possono sussistere in sé stesse anche prive di un impianto teorico.
Come ha riportato l’etnomusicologo Curt Sachs,
un musicista indiano esperto sarà incapace di eseguire le note di una scala in
una serie ordinata separatamente dalla melodia a cui fa riferimento. Le scale
sono costrutti teorici creati a posteriori per catalogare la musica secondo un
concetto astratto che risponde alle necessità dell’accademia occidentale
estranee alla musica tradizionale, dalla quale si è sviluppata quella moderna.
La musica antica si componeva di frasi caratteristiche provenienti da località
geografiche delle quali adottavano i nomi, queste venivano poi processate per
mezzo di innumerevoli varianti andando a stratificarsi nel corso del secoli, fino
a mutarne il carattere nei passaggi della trasmissione orale, nell’incontro tra
i popoli e l’esecuzione su strumenti e ritmi diversi da quelli d’origine.
Questo è un esercizio che ho praticato
quotidianamente per una ventina di minuti al giorno: proviamo a improvvisare
semplici frasi su un singolo modo scelto a caso. Selezioniamo una tra le dodici
tonalità maggiori per mezzo del lancio di un dado, allo stesso modo prendiamo
uno dei sette gradi presenti sulla scala maggiore, quello sarà il nostro modo
di riferimento. Quindi posto un bordone privo di pulsazione ritmica, iniziamo
ad esplorare il modo come si fa nell’alapa ( introduzione ) dei Raga indiani.
Questo va prendendo il materiale da angolazioni diverse fino a quando si
acquista una completa padronanza del modo: ad esempio, ora suonando i due
tetracordi che compongono il modo, ora gli intervalli o le pentatoniche al suo
interno o altre particelle musicali. Nel mio caso ho deciso di esercitarmi
suonando su una base di Tampura, utilizzando anche alcune applicazioni di
percussioni.
I benefici principali che derivano da questo
esercizio, se praticato con costanza, sono due: da una parte si consolida la
capacità di produrre nuove idee e anticipare le frasi che si andranno a
eseguire senza possibilità di errore, dall’altra viene interiorizzata una
fluente facilità di esecuzione in tutte le tonalità insieme al superamento dei
problemi tecnici specifici dello strumento. In questo modo si ottiene che
nessuna tonalità venga ad assumere una posizione subordinata a causa
dell’insicurezza. Quest’ultimo punto è molto importante al fine di acquisire in
modo permanente una tecnica solida che ci consenta di restare rilassati ed
eliminare eventuali forme di rigidità che vanno a limitare la naturalezza ed il
piacere di suonare. Parimenti è opportuno stabilire una routine dotata di una
qualità musicale che non cada nella ripetizione meccanica e ruminatoria che
conduce alla noia.
Un approccio maturo e completo alla pratica musicale non può esulare dallo studio del contesto ritmico nel quale la melodia si esprime. Questa ha sempre una relazione diretta con la lingua parlata, la pronuncia e le inflessioni dialettali dell’etnia che produce un determinato stile musicale. Il lavoro dell’improvvisatore deve entrare nel dettaglio dei ritmi e degli accenti che esprimono i diversi stili senza dimenticarsi però della propria identità. Ovviamente per aver qualcosa da dire è necessario continuare a nutrire l’orecchio con ascolti selezionati che siano in linea con gli obiettivi prescelti. L’idea è quella di ridurre progressivamente la latenza tra idea e azione, che in questo caso coincide con la tecnica strumentale, se possibile fino ad annullarla, in modo che il gesto musicale diventi un riflesso naturale come il canto o la danza.
Stefano Palleni
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